Capita spesso che i bambini che giocano per la piazza della Vucciria parlano con l'uomo gentile e misterioso, il suo inconfondibile codino e il volto scavato dalle rughe, mentre improvvisa una serie di palleggi e fuma una sigaretta e gli chiedono: "Tu sei Schillaci, quello della Nazionale?" e lui con imbarazzo e coraggio leonino risponde: "No, quello è mio cugino Totò, io sono Maurizio, il più scarso..." ironizza l’ex trequartista che tanto somigliava nel gioco e nelle idee all’olandese Jhoan Cruiff. Maurizio Schillaci trent'anni fa era un talento purissimo del calcio siciliano e nazionale, uno capace di segnare 30 gol in due stagioni con la maglia del Licata dei miracoli del tecnico boemo Zeman, tanto bravo da approdare in serie A con la Lazio, soffiato da Fascetti al Foggia di Casillo. In famiglia lo dicevamo sempre - racconta Totò, l'uomo delle "notte magiche" - “io me la cavavo, ma Maurizio era un fuoriclasse". E Zeman conferma: "Un grande talento, tecnicamente un fenomeno. Per mezzi, colpi e intelligenza calcistica avrebbe potuto giocare in una big senza difficoltà, e farlo a grandi livelli. È sempre stato un altruista, per questo i compagni gli volevano bene e lui aiutava tutti, soprattutto gli amici e la gente comune che spesso gli chiedeva aiuto economico”.
La vita però gli ha voltato le spalle proprio quando sembrava aver sfondato: un infortunio ed un tendine maciullato e mal curato alla Lazio, l’approdo in serie cadetta a Messina dove gioca, ritrova Totò e viene curato bene, ma la carriera è ormai compromessa per colpa degli anni. Poi il passaggio in serie C alla Juve Stabia e le prime "piste" di cocaina con gli amici sbagliati, la galera, l'eroina e l'abisso più nero. Il divorzio, le figlie che non vede da anni, tutto il denaro guadagnato durante gli anni di gloria sperperato tra alcol, vizi, automobili (ben 38) e cattive amicizie. Chiude la carriera a Palermo con la maglia della Palermolympia del Barone Nino Spatola in Interregionale, che gli offrì l’occasione di rinascere più come uomo che come calciatore nella seconda realtà cittadina del capoluogo, ma il tentativo del vulcanico Presidente palermitano naufragò nel mare delle disgrazie personali, volute dall’ex calciatore del rione Capo. Neanche Sergio Eberini, uno dei migliori allenatori emergenti del periodo riuscì a metterlo sulla retta via e a sfruttarne le qualità di un talento che quando si metteva in testa di giocare al pallone era il numero uno. Oggi Maurizio Schillaci ha 52 anni ed è un barbone che chiede l'elemosina alla Stazione centrale di Palermo, dorme in un treno abbandonato e non ha più sogni, con gli amici di un tempo che sono scomparsi. Una favola senza lieto fine con un unico protagonista, Maurizio, impietosa voce narrante nelle strade di una città che sembra averlo dimenticato. Alla Lazio aveva tutto: lo stadio olimpico, soldi, fama ville e lusso. Poi quel maledetto infortunio, una lesione al legamento che i medici scambiarono per stiramento. A Roma dicevano che era un debole, che aveva paura di farsi male e che tirava indietro la gamba. Invece soffriva maledettamente. Lo abbandonarono senza un perchè, con l’età che intanto avanzava e una storia familiare destinata a sgretolarsi per sempre. Il pupillo di Zeman si lasciò andare, una volta giunse ad iniettarsi un grammo di cocaina in vena e stava per morire. Adesso con la droga ha chiuso, prende il metadone e cerca un lavoro. Suo cugino aveva tentato di aiutarlo: allenava nella sua scuola calcio, ma i genitori non gradivano che un ex tossico circolasse intorno ai loro bambini. Forse Totò doveva difenderlo un po' di più, ma è andata così. La sua famiglia è quella degli unici amici rimasti e sinceri, sono i barboni della stazione con il quale divide un pezzo di pane e un letto, anzi una cuccetta di un vagone fuori uso e da rottamare, ma che per i tanti fratelli della strada è come un monolocale.
MAURIZIO SCHILLACI |
Maurizio cammina per le strade buie e diroccate del centro storico di Palermo e confessa di sentirsi ancora giovane, soprattutto utile: "Ho 52 anni ma penso sempre di essere ancora un ragazzo, quel ragazzo di 20 anni che voleva spaccare il mondo inseguendo un pallone. Ho sbagliato tante volte, sono stato sfortunato ma datemi un'altra occasione. La vita si è accanita contro di me, credo di meritarla... ".
Chi scrive è un estimatore di Maurizio, conosciuto personalmente quando tifavo Palermolympia e che ha ancora conservata la sua maglietta di raso biancorossa col numero 10, me la regalò alla prima di campionato a Bagheria, dopo la partita e allora capii che Maurizio aveva un cuore d’oro e che la vita è spesso ingiusta con chi in fondo è un buono e senza malizia. Cosa dire? aiutiamo Maurizio e aiutatelo, in nome del calcio che tanto amiamo, aiutiamolo a farlo uscire da questo oscuro labirinto, soprattutto mi appello a coloro che stanno ancora nel giro, che l’hanno conosciuto e non possono e non devono snobbare i parametri dell’umanità e dell’amicizia del passato. Intanto forza Maurizio, non mollare, il vero Schillaci sei tu e chissà che le notti magiche non possano baciare anche la tua vita?
<La Redazione Telematica di Domenicastadio - Ficarazzi>
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